lunedì 28 marzo 2011

IL CIBO SCADENTE DELLE MENSE OSPEDALIERE

Pubblichiamo l'intervento di Cristiana Patta apparso sulla Nuova di domenica 27 marzo 2011.

IL CIBO SCADENTE DELLE MENSE OSPEDALIERE

Nel Nord Sardegna vengono ignorate le indicazioni ministeriali

Ippocrate di Kos, il famoso fisiocrate dell'antichità greca, considerato il fondatore della medicina, affermava: "Sia il cibo la tua medicina e la medicina il tuo cibo". Se la seconda raccomandazione sembra universalmente applicata, la prima è totalmente disattesa dalle strutture ospedaliere del Nord ovest della Sardegna. Chi vi scrive è stato testimone diretto (nonché utente) di un servizio "mensa ospedaliera" scadente e totalmente estraneo ai principi enunciati già dal 2000 dalla legge finanziaria la quale, all'articolo 58, prevedeva che "per garantire la promozione della produzione agricola biologica e di qualità, le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche ed ospedaliere prevedono nelle diete giornaliere l'utilizzazione di prodotti biologici, tipici e tradizionali nonché di quelli a denominazione protetta, tenendo conto delle guida e delle altre raccomandazioni dell'Istituto nazionale della nutrizione. Gli appalti pubblici di servizi relativi alla ristorazione delle istituzioni suddette sono aggiudicati attribuendo valore preminente all'elemento relativo alla qualità dei prodotti agricoli offerti."

Orbene, non solo delle DOP e del biologico non c'è traccia, ma quanto offerto ai pazienti nello sterilizzato vassoietto appare ispirato al principio di massima economicità con la conseguenza ippocratica di predisporre il paziente alla depressione nelle ore dei pasti. Negli ospedali delle provincie di Sassari e di Olbia si consumano circa 900.000 pasti all'anno (in Italia 240 milioni) con una spesa che si aggira sui 10 milioni di euro. E se, secondo dati ministeriali, il 50% del cibo somministrato viene buttato via, qualche motivo ci dovrà pur essere.

Dello stato delle cose se ne era accorta anche la ministra Turco che, nel luglio del 2007, si era alleata cob Slow Food nel progetto "Nero su bianco", che nasceva dalla necessità di garantire una "buona e corretta" alimentazione del malato. E come rendere pranzi e cene più succulenti? Portando nel piatto dei pazienti quei prodotti locali e stagionali di qualità, punto di forza delle piccole produzioni tradizionali e artigianali, che nascono nel territorio stesso. Evidentemente principi non applicati, come le parole al vento dell'ex assessore Prato, il quale, impattando sulle orecchie sorde del suo collega Liori, continua inutilmente a parlarci di "valorizzazione dei prodotti locali nelle scuole e nelle mense". E dell'assenza di un dietologo nelle cliniche, previsto dal piano sanitario nazionale, ne vogliamo parlare? Almeno nelle cliniche sarde si applica il principio di parità fra i pazienti (tutti mangiano male allo stesso modo) nel rispetto del LES (livello essenziale di sussistenza).

Il menù tipico? Eccolo: ricotta bovina prodotta non in Sardegna (fatta forse con latte tedesco), mentre i nostri caseifici annegano nella, nutrizionalmente parlando, migliore ricotta di pecora; mozzarelle (si fa per dire) da discount, invece di quelle ottime prodotte in loco; formaggio Emmental invece del nostro pecorino; polpette al sugo e fettine suola-di-scarpa, invece che spezzatino di agnello da latte nostrano e carne di bue rosso. Se in linea di principio non ha senso risparmiare sul cibo, ha meno senso risparmiare su quello da dare ai malati. E forse, offrendo un cibo migliore e locale, se ne butterebbe via meno, con un reale risparmio per tutta la collettività e un vantaggio per la nostra devastata agricoltura.

Cristiana Patta

Presidente dell'Assemblea provinciale del PD Sassari

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