Per questo vogliamo un nuovo PD
Chiedo ospitalità per una riflessione pubblica sulle trasformazioni sociali che ci stanno travolgendo. Una riflessione sulle difficoltà che vivono le istituzioni e i partiti e sulle scelte politiche che siamo chiamati a fare, per non sottrarci a un debito verso i nostri figli. L'Europa, su cui i nostri padri hanno investito affidandole il futuro di una civiltà intera, appare incapace e divisa di fronte alle scelte fondamentali sul destino del Mediterraneo. Il nostro Paese affronta con sottovalutazione la sfida di un ridisegno istituzionale discusso che non si fermerà, anche perché il federalismo, con i limiti e le disuguaglianze che vanno combattute, è il tentativo, come ci ha trasmesso con coraggio il Presidente Napolitano, di tenere insieme un paese già diviso da tempo. La Sardegna arriva a queste sfide senza voce, con un sistema industriale al collasso, con i fondamentali economici e sociali allo stremo, con poca fiducia nei suoi mezzi, e forse con un'idea prevalente che si tratti di una tempesta che passerà, sia quella economica sia quella istituzionale, o che qualcuno dall'alto ci salverà.
Ma non è così! Non possiamo che affrontare la sfida del federalismo, perché è la misura dell'efficienza della pubblica amministrazione e della trasparenza per una piena consapevolezza dei cittadini; non possiamo che affrontare la crisi economica dalle radici per ridurre le disuguaglianze che, già forti dopo la crisi degli anni '90, lasceranno tre sardi su dieci più poveri; non possiamo lasciare che il destino della nostra isola sia quello disegnato dai demografi: 350.000 abitanti n meno tra 40 anni, Sassari abitata da 2/3 dell'attuale popolazione e almeno 100 comuni su 377 destinati all'estinzione: una terra vecchia e con poche speranze.
La Sardegna può avere un destino diverso, ha potenzialità inespresse e risorse profonde, a partire da quelle etiche e morali, fondamentali per una rinascita, può evitare il rimpianto delle cose del passato o degli errori compiuti, può restituire intatte le risorse di oggi e persino decidere di accrescerle piantando alberi di cui solo i nipoti vedranno i frutti.
La politica può fare il suo mestiere solo se non guarda al giorno per giorno e si prende le responsabilità cui è chiamata. Ecco perché il Partito democratico in Sardegna ha scelto di aprire una nuova fase che non serva solo per la prossima sfida elettorale, ma per scrivere una pagina più profonda e più duratura per l'isola. La scelta è di costruire una forza autonoma, riformista, federalista, che rappresenti il Pd in Sardegna ma che allarghi quei confini ad altri valori e radici, che risponda alle domande nuove a cui rischiano di rispondere solo i fermenti d'indipendenza.
La scelta non è semplice, costringe il gruppo dirigente sardo a uscire dal porto sicuro delle leadership nazionali per mettere in campo i contenuti (se ci sono), superare le piccole sovranità (ormai inutili di fronte alla molteplicità dei cittadini), e andare nel mare aperto delle domande di giustizia e della missione per la nostra isola che è da riscrivere da capo.
La scelta è quella di aprire un'elaborazione che disegni le azioni che sono necessarie oggi perché abbiano effetto tra vent'anni, che tocchino le ingiustizie profonde che la quotidianità della politica non sempre ha la forza di affrontare.
È l'ingiustizia di chi ha 45 anni oggi, moglie e un figlio e ha fatto finora la vita da precario, con quattro o cinque anni di contributi, talvolta laureato, insegnante precario o autista di Arst o Atp a tempo. È l'ingiustizia di chi ha 50 anni e fa l'operaio di una delle tante aziende industriali in crisi e sa che lo aspetta l'inutilità umiliante della cassa integrazione lunga, o quella peggiore di chi sta a 100 metri d'altezza e ha 35 anni e già si sente senza mestiere. È l'ingiustizia di chi sta lasciando i piccoli paesi e la campagna dopo 25 anni di contributi europei e regionali che lo hanno lasciato solo e senza un sostegno per trasformare una condanna in un'impresa. È l'ingiustizia dei ragazzi di 20 anni che sono i più confusi perché l'ascensore sociale non esiste più.
Noi vogliamo raccogliere questa sfida, dentro il federalismo e l'unità nazionale ma con le nostre forze e il nostro rigore, quello che vogliamo che le nostre prossime generazioni riacquistino, dentro il nostro Paese sapendo che dobbiamo costruire, e non saranno concessioni facili, istituzioni dove le decisioni che ci riguardano si prendono con noi e non senza di noi.
Vogliamo per questo pensare a una comunità, prima che a un partito, in cui ogni sardo ritrovi il sardismo azionista di Lussu, il pensiero autonomista di Dettori e Cardia, e soprattutto la voce fresca di Ignazio, Francesca, Egildo, Laura e Gianni, ragazzi o meno, di chi non quieterà sino a quando ci sarà una sola ingiustizia.
Silvio lai
Segretario regionale del PD