La corsa dunque è iniziata e i concorrenti alla segreteria del PD sardo sono 4: Silvio Lai (mozione Bersani), Giampaolo Diana (sempre Bersani), Francesca Barracciu (mozione Franceschini) e Carlo Balloi (mozione Marino).
La linea di questo blog è per la mozione Bersani, come già detto altrove, ma si tratta anche di esprimersi sul segretario regionale. Conosco Silvio Lai da anni, è giovane e capace e ben rappresenta l'idea di un PD post-ideologico. Ho anche sottoscritto la sua lista di candidatura.
Per quel che mi riguarda, dunque, Silvio Lai è l'uomo giusto per guidare il PD in Sardegna nei prossimi anni.
La corsa è cominciata e ci sono diverse candidature.
RispondiEliminaSono stanco di leggere che questo, come riportato nel giornale di oggi, sia il segno della divisione, di uno scontro finale di uno contro l’altro, nel ricordo di divisioni interne, frutto di storie passate e quant’altro.
Credo che finalmente, con qualche tentennamento, sia invece lo specchio più vicino al vero della possibilità di coesistere insieme diversi modi di pensare. Lo so che sembra una frase fatta, ma penso che sia ora di avere una reazione su questo modo di interpretare le cose. Bisogna battere un colpo e chiudere con queste interpretazioni.
Se c’è un uomo solo al comando gli aggettivi spaziano da quelli più negativi e noti, a quelli di esaltazione del capo delle truppe. Se invece ci sono più persone che aspirano a guidare è sintomo di lacerazioni, incomprensioni e separazioni.
Interpretazioni forse vere entrambe, ma vecchie e logore allo stesso tempo.
Ma se ci sofferma a spiegare l’aggettivo Democratico il problema, di una o di più candidature, non esiste. Quindi, basta.
Se poi si pensa al concetto di partito credo ancora di più che il problema sia del tutto infondato. Non sono un vero politico, o un vero studioso di politica, ma penso che oggi un partito debba ascoltare le persone che ne fanno parte e da qui cercare di fare delle sintesi. Come succede del resto nel sindacato che ascolta le esigenze delle persone, valuta le possibilità offerte dalla legislazione, dalla condizione economica, dalla struttura della società e alla fine fa la una sintesi in base alla sua base (scusate il giro di parole). Ci sono più domande, quindi più risposte. Quindi anche la parola partito, spogliata dalle sue vesti ideologiche che rimangono sullo sfondo, e che oggi sono non perfettamente coinvolgenti, dovrebbe essere quello. Un atteggiamento che non dobbiamo definire, con il solito modo un po’ spocchioso, con pericolo imminente di fare del populismo o della demagogia, ma che è possibile tradurre semplicemente con ascolto e sintesi. È la presenza della gente che permette al partito di esistere.
Il famoso episodio di Maria Antonietta di Francia che all’affermazione “il popolo non ha il pane maestà”, rispose con “dategli le brioches” fa sorridere, ma è in realtà quello che deve succedere se si vuole tentare di rispondere alle cause. È quello che la gente si aspetta dai suoi capi politici. Vuole delle guide e delle rispose serie ai problemi seri. Il popolo, la gente, ha delle esigenze, ascoltiamo e cerchiamo le risposte che possono e devono essere diverse. Possono essere manicaretti con la crema, pane di grano duro, lavoro, scuole che funzionano, università di alto livello, case decenti, la sicurezza, la tutela dell’ambiente, il diritto di formarsi una famiglia come si può e non come si deve. Tutte queste sono risposte. Certo alcune hanno una visione di breve e immediato periodo, altre possono essere di lunga prospettiva, ma oggi, cittadino o dirigente di partito, oggi chi non si sente continuamente investito dalla domanda più semplice del mondo “se meglio un uovo oggi o una gallina domani”. Persone diverse, risposte diverse, ma risposte.
La corsa è cominciata con persone e risposte diverse. Ora cerchiamo di ascoltare i problemi e cerchiamo di scrutare e di valorizzare quello che ci unisce che è un valore sempre maggiore rispetto a quello che ci divide. Con semplice umiltà.
Franco G.R. Campus